Una nuova realtà storico sociale
Il primo di
questi fattori è sicuramente l'allargamento della sfera dei consumatori,
conseguente al miglioramento delle condizioni economiche delle classi popolari
e al diffondersi di stili di vita basati sul godimento e sulla fruizione di
beni e prodotti diversi. La disponibilità di redditi più alti, unita allo
spirito di emulazione nei confronti dei ceti socialmente più elevati, spinge
fin dai primi decenni del Novecento anche fasce di popolazione fino ad allora
estromesse dai circuiti del consumo culturale a riempire non solo la dispensa o
il guardaroba, ma anche gli scaffali della libreria, acquistando libri,
riviste, dischi e altri prodotti di questo genere.
A ciò va aggiunta l'accresciuta scolarizzazione della
società, che fornisce a un numero sempre più ampio di individui gli strumenti
di base e gli stimoli intellettuali per accedere ai consumi culturali. Ma
l'incremento della scolarizzazione influisce sulla trasformazione
dell'industria culturale anche per altre vie, e cioè:
- creando lo specifico settore dell'editoria dei testi scolastici;
- ritardando l'ingresso dei ragazzi e delle ragazze nel mondo del lavoro, contribuendo così indirettamente a creare la figura sociale del "giovane", specifico target del sistema produttivo anche per quel che riguarda il settore dei consumi culturali.
Un altro fattore importante da considerare è l'accresciuta centralità
delle masse popolari come soggetto politico. La conquista del suffragio
elettorale universale in quasi tutti i paesi dell'Occidente e i traguardi
raggiunti dal proletariato urbano grazie alle grandi manifestazioni di piazza
che lo vedono protagonista costringono i governi dei vari Stati a confrontarsi
con questo nuovo soggetto politico e sociale.
Per i regimi dittatoriali come per le democrazie diventa
pertanto fondamentale la ricerca del consenso, ovvero la conquista
dell'appoggio delle masse popolari al fine di catturarne il voto e di
prevenirne l'opposizione. Giornali, libri e film diventano così importanti
strumenti di propaganda politica, soprattutto presso i sistemi totalitari.
Anche i nuovi media come la radio e la televisione, che nascono in questo
secolo, svolgono un importante ruolo in tal senso: l'industria culturale
diventa il veicolo privilegiato per la trasmissione delle idee e il suo
contributo si fa fondamentale per la gestione del potere.
Per designare il tipo di società che nasce grazie a questi
mutamenti si è soliti parlare di società di massa e,
corrispondentemente, di "cultura di massa": due espressioni in cui,
l'aspetto puramente denotativo cede spesso volentieri il campo a
interpretazioni ideologiche e a giudizi di valore.
I nuovi percorsi dell'editoria
Il settore dell'editoria conosce nella società di massa una crescita senza precedenti, e in una pluralità di direzioni.
L'industria del libro si arricchisce di nuovi generi e
proposte: l'idea di fondo è quella di confezionare prodotti ad hoc per ogni
utenza e situazione, venendo incontro ai bisogni del pubblico e anzi
precorrendone e orientandone le richieste. Nasce così una letteratura per
bambini, per ragazzi, per signore ecc.; si pubblicano libri di cucina, di
fotografia, di sport, guide turistiche, manuali di ricamo o di bricolage, saggi
su temi di politica e di costume. Al potenziale acquirente che entra in una
libreria viene proposta un'offerta sempre più ampia e differenziata di
prodotti, simile a quella che caratterizza un negozio di capi di abbigliamento.
Parallelamente, vengono divulgate le grandi opere della
letteratura in edizione tascabile e i nuovi volumi, di dimensioni
contenute ed economicamente più accessibili, vengono talora offerti come
supplementi dei periodici o dei quotidiani.
Anche la lettura come pratica sociale si
trasforma: spesso non è più un momento di incontro con un autore e con il suo
mondo intellettuale, ma un piacevole passatempo che si può
"consumare" anche in situazioni di totale relax; e analogamente si
trasforma il libro, che si offre come oggetto collocabile a metà strada tra lo
"scrigno", colmo di oggetti tra i quali curiosare, e il
"formulario magico", che contiene una risposta pronta per ogni
necessità: dal suggerimento dell'isola su cui andare in vacanza a quello delle
erbe medicinali che possono curare la depressione.
La pratica della lettura conosce però nel corso del XX
secolo anche nuove strade, che non portano al libro, ma ad altri prodotti
editoriali: giornali, riviste, fumetti, ma anche fascicoli e dépliant, tutti
legati allo sviluppo delle comunicazioni di massa. Anche in questo ambito
si assiste a un processo di "segmentazione" dell'utenza: si
pubblicano riviste per Un'utenza femminile, per l'infanzia e per molteplici
fasce specifiche di lettori, come gli appassionati di sport o di motori.
La possibilità, grazie alle evoluzioni tecnologiche, di
introdurre fotografie all'interno della pagina stampata favorisce inoltre la
nascita di un nuovo tipo di rivista, il rotocalco, che, prevalentemente incentrato
su temi di attualità, stabilisce una sorta di sinergia tra diverse forme di
comunicazione di massa: le pagine delle riviste presentano infatti anche
immagini di personaggi del cinema e della TV, contribuendo alla loro
consacrazione nell'immaginario collettivo.
Le nuove pubblicazioni favoriscono poi lo
"sdoganamento" di argomenti tradizionalmente tabù: il sesso fa
capolino sulle copertine dei giornali attraverso i corpi poco vestiti di
bellissime dive dello spettacolo. Vera icona di questo genere è la rivista
"Playboy", che esce per la prima volta nel 1953 con le foto di
Marilyn Monroe, la più rappresentativa sex symbol del momento.
A partire dal secondo dopoguerra, molte riviste italiane
cominciano a ospitare un nuovo genere di intrattenimento: i fotoromanzi,
racconti narrati attraverso sequenze di fotografie corredate da didascalie e
balloons, interpretati da attori e attrici professionisti. Rivolto
prevalentemente a un pubblico femminile di estrazione sociale medio-bassa, il fotoromanzo
presenta i tipici contenuti del romanzo rosa: amore contrastato, incomprensione,
tradimento, sofferenza e riscatto, e l'immancabile lieto fine.
Il successo riscosso da questo nuovo genere induce gli
editori a utilizzarlo anche per altri scopi: alcuni settimanali cattolici, ad
esempio, scelgono di raccontare in forma di fotoromanzo le vite dei santi o le
grandi opere della letteratura mondiale.
La cultura della TV
La fisionomia peculiare che l'industria culturale assume nel Novecento scaturisce però soprattutto dalle trasformazioni che in quel periodo investono il mondo delle comunicazioni di massa. La nascita di nuovi media (la radio e la televisione, ma soprattutto i nuovi strumenti prodotti dalla rivoluzione informatica) e la definitiva consacrazione di media già esistenti finiscono per generare quel l'identificazione tra cultura e comunicazione che è forse il tratto più tipico della società di massa, nel senso che il sistema di conoscenze, di simboli, di credenze condivise che la identificano passa attraverso i canali della comunicazione di massa.
La TV è forse l'icona più rappresentativa di questo nuovo
assetto. La sua nascita come strumento di comunicazione di massa risale al
periodo tra le due guerre mondiali, quando sia in Europa sia negli Stati uniti
vengono inaugurate le prime tecniche di trasmissione a distanza di contenuti
visivi e sonori. Negli anni successivi, quando il nuovo medium si diffonderà
nei principali paesi industrializzati, Gran Bretagna e Stati uniti
costituiranno i due modelli di riferimento per la definizione della sua
funzione sociale: servizio pubblico gestito direttamente dallo Stato (sul
modello della britannica BBC) o impresa affidata alla libera iniziativa privata
e finanziata dagli introiti pubblicitari, come le molteplici emittenti via cavo
presenti sul territorio statunitense.
In Italia, dove le prime trasmissioni televisive cominciano
nel gennaio 1954, si afferma decisamente il primo modello, legato all'idea
secondo cui la deve avere 3 scopi fondamentali: istruire, educare, divertire.
Solo alla fine degli anni Settanta, quando una sentenza della Corte
costituzionale decreta la fine del monopolio radiotelevisivo di Stato, nascono
le prime televisioni private, create da editori, giornalisti, imprenditori.
Per comprendere il ruolo progressivamente assunto dalla
televisione all'interno dell'industria culturale è utile ricorrere a una
distinzione introdotta dal noto studioso italiano Umberto Eco, e accolta da
molti studiosi di mass media: quella tra paleotelevisione (la
"vecchia" tv) e neotelevisione (la "nuova' tv).
Eco introduce questa distinzione in riferimento alla
televisione italiana, ma le sue riflessioni possono riferirsi, più in generale,
all'evoluzione storica del mezzo televisivo.
La paleotelevisione è la TV delle origini: essa si
caratterizza per mezzi tecnici ancora modesti (le immagini sono in bianco e
nero) e un palinsesto limitato sia quantitativamente sia qualitativamente (le
ore di trasmissione sono contenute e i programmi sono imperniati su 3
generi: cultura, informazione, divertimento). Soprattutto, la paleotelevisione
è effettivamente un medium, cioè un mezzo che mette in rapporto lo spettatore
con ciò che viene trasmesso: un fatto di cronaca, uno spettacolo, un dibattito
politico o culturale.
Nella neotelevisione - che nasce con il diffondersi delle
emittenti private, ma pervade ben presto lo stesso servizio pubblico - si
assiste a un radicale stravolgimento di questo assetto: si dilata la giornata
televisiva, con un flusso continuo di programmi che coprono le 24 ore; i 3
generi della w tradizionale si riducono progressivamente a uno solo, un misto
di informazione e divertimento definito da alcuni studiosi infotainment
(dall'inglese information + entertainment). Inoltre, ed è questa forse la
trasformazione decisiva, la neotelevisione parla praticamente solo di se stessa:
da strumento di informazione su una "realtà" che si presume
autonomamente esistente, essa diventa fonte di realtà.
Nella neotelevisione, sia pubblica sia privata, la
principale risorsa economica è la pubblicità nelle sue varie forme: spot,
sponsorizzazione di programmi, televendite. La centralità del ruolo economico
delle aziende, che acquistando spazi pubblicitari garantiscono la sopravvivenza
della rete, si ripercuote sul rapporto televisione-spettatore; quest'ultimo è
visto non più come un cittadino da informare, ma come un consumatore da
blandire e lusingare allo scopo di conquistarne la fiducia.
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