Alle origini della conflittualità sociale

 366-367


Un punto di partenza: Durkheim e il concetto di anomia

Parlare di conflittualità sociale, da un punto di vista sociologico, non significa semplicemente individuare quegli aspetti e problemi che, all'interno della società, creano una situazione di conflitto tra individui e gruppi o tra questi e la collettività nel suo complesso. Significa anche e soprattutto cogliere la natura eminentemente sociale di questi aspetti e problemi, individuare cioè nella società non solo un  luogo in cui il conflitto si manifesta, ma anche un complesso di fattori da cui esso si genera.

Emile Durkheim nel suo saggio “ Il suicidio. Studio della sociologia” e nell'opera “La divisione del lavoro  sociale” introduce nel linguaggio sociologico il termine "anomia", Indicando con esso quello stato di  carenza normativa che si crea in una società quando si indebolisce la coesione tra i suoi membri,  presupposto, necessario per la formazione di valori e sentimenti comuni. L’anomia priverebbe gli individui di quelle direttive in grado di mantenere la condotta entro limiti appropriati, e favorirebbe  la disgregazione morale della società e l'insorgere dei comportamenti pericolosi per sé e per gli altri. 

La concezione durkheimiana di “anomia” ci suggerisce che la causa profonda di questi eventi risiede nella società e non nelle persone: “anomici” non sono gli individui, con i loro comportamenti o i loro tratti di personalità, ma piuttosto i contesti sociali in cui si trovano a vivere. 

Da dove scaturisce l'anomia  stessa? 


Durkheim pensa che questa condizione di carenza normativa non sia strutturalmente connesso alla  vita sociale, ma che possa verificarsi in determinate congiunture storiche, caratterizzate da mutamenti particolarmente rapidi e radicali. Durkheim attribuisce alla Sociologia il compito di riaffermare la fondamentale coesione e unità organica del corpo sociale, contro ogni tendenza anomica. 

La stratificazione sociale

Il sociologo Peter Berger nel suo manuale “sociologia. La dimensione sociale della vita quotidiana" osserva l'esperienza sociale che si configura fin dai suoi inizi come un'esperienza di differenze: constatiamo che le persone sono diverse e non soltanto come individui, ma anche come rappresentanti di determinate categorie o gruppi sociali. A questa differenza corrisponde una diversa collocazione su un'ideale scala sociale, nel senso che alcuni gruppi o categorie sembrano disporre di opportunità e risorse che ad altri sono precluse o accessibili in misura minore. Questo fenomeno si chiama stratificazione sociale, ovvero la presenza, all’interno della società, di una molteplicità di livelli, che si differenziano per la possibilità di accesso alle risorse sociali di cui godono i membri di ciascun livello.

I classici di fronte alla stratificazione: Marx e Weber

E’ stato Marx a porre al centro del discorso sociologico l’analisi delle classi sociali e dei rapporti tra di esse. Dalla nozione marxiana di “classe” discende un’interpretazione della stratificazione sociale che presenta alcuni aspetti caratteristici.


Per Marx, il criterio fondamentale che determina la stratificazione sociale è di tipo economico: è il rapporto intrattenuto con la proprietà dei mezzi di produzione, che decreta la classe di appartenenza e non con altre caratteristiche, come il potere o il prestigio, che ne sono le conseguenze.

La nozione di stratificazione si lega a quella della conflittualità. Tra le classi sociali il rapporto è di conflitto perenne, poiché le loro reciproche posizioni sono generate dalla lotta per l'appropriazione delle risorse. Questa conflittualità è una costante nella storia dell’uomo, ma nella società industriale assume una nuova e originale configurazione, sia per la drastica riduzione delle forze in gioco, cioè la borghesia capitalista e il proletariato, sia per la novità dell’assetto sociale a cui dovrà approdare. La classe di appartenenza determina la posizione che un individuo ha all’interno della società, ma essa non genera necessariamente in quello stesso individuo una reale percezione della posizione che egli si trova a occupare. 

Marx chiama questa condizione “falsa coscienza”, condizione che minaccia i membri della classi subalterne: il monopolio delle idee, esercitato da chi detiene il potere, infatti, porta i membri delle classi subalterne a introiettare le idee e i valori socialmente dominanti, e in questo modo preclude loro la possibilità di prendere coscienza dello sfruttamento a cui sono soggetto. Anche Weber ha affrontato il tema della stratificazione sociale. La teoria weberiana, prende avvio dall’analisi di Marx, ma tenta di integrarla e superarla. 

Weber ritiene che il concetto marxiano di classe isoli solo un fattore della stratificazione sociale, quello economico, identificato con la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione, mentre il fenomeno è più complesso. Accanto alla classe Weber individua altri due fattori che determinano le differenze di livello tra i diversi gruppi sociali: lo status e il potere. Il primo può definirsi come il livello di prestigio sociale detenuto da un gruppo o da un individuo, che costituisce una variabile indipendente, benché spesso legata alla posizione di classe.


0 commenti:

Posta un commento