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La stratificazione sociale nella società contemporanea



370-378

Oltre i classici

Al di là dell'idea che il controllo dei mezzi di produzione sia il criterio fondamentale per determinare la posizione sociale di individui e gruppi ciò che oggi appare discutibile è soprattutto il giudizio dello studioso tedesco sul destino delle classi nel futuro della società industriale . 

Marx pensava infatti che gli sviluppi del capitalismo avrebbero finito per radicalizzare l'antagonismo sociale tra una minoranza sempre più ricca ( grazie alla concentrazione dei capitali ) e una massa di lavoratori completamente proletarizzati , costretti a vivere con salari di pura sussistenza. 

In realtà , almeno nei paesi occidentali , l'evoluzione è stata ben diversa . 

Le classi medie

L'espressione classi medie indica la particolare collocazione nella società di una certa fascia di popolazione , intermedia tra l'alta borghesia e la classe operaia , da cui i membri delle classi medie tenderebbero costitutivamente a prendere le distanze . Analogo significato ha l'espressione anglosassone middle classes , utilizzata per indicare le fasce di popolazione collocate tra le upper classes e working classes.

Nel suo saggio sulle classi sociali italiane pubblicato negli anni Settanta del Novecento , l'economista Paolo Sylos Labini mette in evidenza la scarsa omogeneità dei ceti medi dal punto di vista della composizione sociale , delle professioni e dei redditi : essi comprendono gli appartenenti sia alla piccola borghesia autonoma ( commercianti , artigiani , piccoli professionisti ) , sia al variegato campo della piccola borghesia impiegatizia ( tecnici dell'industria , insegnanti , lavoratori non manuali dipendenti del settore pubblico e privato ) , sia ad altre categorie particolari. 

Per questa sua eterogeneità la fascia delle classi medie si presenta sostanzialmente ambigua, senza scopi o interessi sociali comuni , sprovvista di un codice sicuro e unitario di valori e pertanto imprevedibile dal punto di vista della condotta е sociale : spregiudicata nel comportamento elettorale perché priva di un reale progetto politico , capace di grandi slanci come di risentimenti meschini .

Un quadro abbastanza spietato del mondo delle classi medie , limitatamente alla realtà sociale statunitense degli anni Cinquanta del Novecento ma con osservazioni valide ancora oggi , ci è offerto in Colletti bianchi di Charles Wright Mills . 

Con l'espressione "colletti bianchi " l'autore designa quelle categorie professionali che l'espansione della burocrazia pubblica e privata ha posto come "cuscinetto " tra la borghesia imprenditoriale e gli operai salariati (blue collars ): impiegati , insegnanti , professionisti stipendiati . Privi di un reale potere di intervento sociale , politicamente indifferenti e sprovvisti di idee proprie , i colletti bianchi accettano passivamente i modelli culturali della società di massa , che li manipola per scopi a loro estranei sempre più simili alla classe operaia per situazione di subalternità e condizione economica , tendono però ad attribuirsi uno status sociale superiore e a prenderne le distanze negli atteggiamenti e nello stile di vita. 


Un altro aspetto porta necessariamente a rivedere le tesi "classiche " sulla stratificazione sociale : il generale aumento di benessere che si è verificato nelle società industriali avanzate ha ridotto sensibilmente le disuguaglianze economiche tra i diversi gruppi e individui. L'accresciuta disponibilità di denaro e il miglioramento delle condizioni di vita ha consentito alle classi popolari un accesso a beni e servizi che prima erano loro preclusi.


Proprio la sfera dei consumi - e in particolare certi suoi ambiti come il settore dei beni e dei servizi rivolti ai giovani - è quella in cui si assiste a un livellamento , almeno apparente , delle differenze sociali. Alla diffusione dei comportamenti di consumo si è accompagnata una generale omogeneizzazione degli stili di vita , favorita anche dall'opera di socializzazione svolta dai mass media.

Le disuguaglianze sociali: oltre la superficie 

La maggiore articolazione del sistema di stratificazione e la riduzione delle disuguaglianze economiche tra le diverse fasce sociali non devono comunque farci credere che le differenze di classe abbiano oggi un peso irrilevante nella vita delle persone . 

Le statistiche rilevano che chi nasce in una posizione sociale meno privilegiata e con un reddito più basso non ha le stesse opportunità di chi appartiene alle fasce più al te della società , a cominciare dalla speranza di vita .

Chi appartiene a un livello sociale più alto ha in genere anche maggiori probabilità di raggiungere un elevato livello di istruzione , e comunque di superare le difficoltà incontrate nello studio, grazie a un ambiente familiare ricco di stimoli e strumenti culturali , alle opportunità di apprendimento fornite da esperienze culturali extrascolastiche di vario tipo , e , non ultimo , all'uso quotidiano di un lessico grammaticalmente più corretto e concettualmente più elaborato.

Nuove dinamiche di stratificazione

Un discorso sulla stratificazione nelle attuali società occidentali non può prescindere da un fatto importante . In conseguenza dei forti flussi migratori contemporanei che hanno investito quasi tutti i paesi industrializzati e del formarsi di società molto variegate dal punto di vista della composizione etnica , le dinamiche della stratificazione si sono modificate . In particolare , è mutata la percezione che le persone hanno della loro posizione sociale . 

Innanzitutto , le comunità immigrate vengono ancora spesso percepite come gruppi sociali " a sè " , la cui collocazione supera le tradizionali linee di demarcazione tra le classi : precari per posizione giuridica, con uno status professionale modesto, separati dal resto della popolazione sia fisicamente sia culturalmente . 

Il meccanismo che può scattare in questa situazione è quello di una sorta di compensazione di status: confrontandosi con l'immigrato l'individuo con una modesta posizione sociale tende ad accentuare la propria distanza rispetto a lui e a percepirsi in qualche modo più "in alto" nel sistema di stratificazione quelle relative al sesso. 

Ma può anche scatenarsi un meccanismo opposto alla compensazione degli status quando l'individuo soprattutto in contesti di crisi economica , in cui aumenta la competizione tra i gruppi per l'appropriazione delle risorse sociali - percepisce il confronto sociale in modo più negativo . In realtà la dinamica globale è più complessa . Da una parte le persone avvertono il contrasto tra le proprie aspettative e la realtà materiale della loro esistenza , dall'altra ipotizzano che questo contrasto non sussista per gli altri gruppi sociali , non solo quelli economicamente più benestanti , ma, paradossalmente anche quelli più deboli , come le comunità immigrate , che, proprio grazie agli interventi di assistenza e di sostegno che ricevono sembrano godere di una posizione sociale privilegiata . 

A questo proposito gli studiosi parlano di deprivazione relativa è il fenomeno per cui il confronto con standard ideali di riferimento o con lo status di altri individui o gruppi , percepito come più favorevole , incide in modo negativo e decisivo sul giudizio che le si formano sulla propria posizione sociale . Occorre aggiungere che questo meccanismo riguarda la stessa realtà dei migranti : se l'individuo immigrato è portato a confrontarsi con i suoi connazionali rimasti in patria e si sente probabilmente fortunato , i suoi figli o comunque le generazioni successive tenderanno invece a paragonarsi ai loro coetanei occidentali e a maturare una diversa valutazione delle proprie condizioni .

Nuove forme di povertà

La riduzione delle disuguaglianze economiche nei paesi occidentali pone in termini nuovi anche un altro tema importante: quello della povertà. chi sono i poveri, oggi?

Oltre quale soglia una persona o una famiglia può definirsi in condizione di povertà ? L'immagine del "povero " che si affaccia alla nostra mente di fronte a domande di genere è probabilmente quella di una persona in condizioni di estrema indigenza , difficoltà a procacciarsi i beni e i servizi necessari per sopravvivere o quantomeno condurre un'esistenza umanamente dignitosa . Questa immagine rappresenta in modo delle risorse necessarie per soddisfare i bisogni umani fondamentali (cibo , vestiario , efficace quella che i sociologi chiamano povertà assoluta , definibile come la abitazione ) . 

Tale condizione , che costituisce tuttora una drammatica realtà in molti paesi in via di sviluppo , fino al secolo XIX era una costante anche nelle società occidentali Tra il 1887 e il 1901 due studiosi inglesi, Charles Booth e Seebohm Rowntree, condussero separatamente due studi sulla popolazione di Londra e di York, da cui emerse che circa 1/3 degli abitanti di queste città viveva in condizioni di oggettiva povertà.

Tuttavia, quando si parla di povertà in se no ai paesi industrializzati si fa riferimento a una nozione diversa , ovvero al concetto di povertà relativa , introdotto dal socio logo inglese Peter Townsend  a partire dagli anni Sessanta del Novecento . 

Il concetto di povertà relativa muove dal presupposto che la condizione di vita di una persona o di una famiglia possa es sere definita solo a partire dall'ambiente sociale in cui vive : in base a questa prospettiva si definisce povero chi , pur potendo soddisfare i bisogni di base , manca delle risorse per raggiungere quelle condizioni che sono abituali o prevalenti , o almeno incoraggiate , nella società di appartenenza . La soglia oltre la quale un individuo o una famiglia possono dirsi poveri ( la cosiddetta linea di povertà ) viene solitamente stabilita in base all 'International Standard of Poverty Line " ( , un sistema di riferimento internazionale che definisce povera una persona che disponga di un reddito non superiore alla metà di quello nazionale procapite .

Fenomenologia dei “nuovi poveri”

Il concetto di povertà relativa ci permette di identificare, nelle moderne società industrializzate, una categoria di persone che possiamo definire “nuovi poveri”: si tratta di individui o nuclei familiari che vivono in condizioni dignitose, per i quali tuttavia le opportunità e le comodità che qualificano il tenore di vita medio di una società restano un traguardo irraggiungibile.

Ma chi sono questi “nuovi poveri”? Qual è la loro incidenza sul totale della popolazione? Se ci riferiamo al caso specifico dell’Italia, dai dati Istat relativi al 2008 risulta in condizione di povertà relativa l'11,3% delle famiglie residenti, per un totale di circa 8 milioni di persone. Questa percentuale cresce considerevolmente al Sud, dove quasi una famiglia su 4 è povera (23,8%).

Tra i fattori più significativi associati alla condizione di povertà ci sono l'elevato numero di figli; la presenza di almeno un anziano nel nucleo familiare; la mancanza di uno dei genitori . 

Questi dati evidenziano una carenza profonda del Welfare State e l'insufficienza delle politiche pubbliche a sostegno della famiglia e dei suoi problemi più rilevanti. La povertà relativa ha un'alta incidenza anche presso gli anziani soli, soprattutto se donne, Per quanto riguarda altre variabili socio-demografiche, i dati mostrano che l'incidenza della povertà è maggiore in presenza di bassi livelli di istruzione e di profili professionali non qualificati: una persona con la licenza elementare ha il quadruplo delle probabilità di essere povera rispetto a chi ha un elevato titolo di studio; il rischio di povertà, inoltre, è mediamente più alto per i lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi, e per i pensionati rispetto a entrambi.

Una condizione tipica del nostro tempo, legata a fenomeni come la precarizzazione del lavoro e le frequenti rotture dei nuclei familiari, è la cosiddetta “povertà fluttuante”, ossia il verificarsi di condizioni di disagio economico temporaneo, più o meno prolungato, dovute all’insorgenza di eventi improvvisi che peggiorano la qualità di vita degli individui. La perdita imprevista dell'occupazione, un divorzio o un abbandono da parte del partner possono esporre le persone, le donne in particolare, a situazioni di improvvisa povertà. Anche una malattia o un incidente, che rendono per un certo periodo inabili al lavoro e contemporaneamente richiedono cure costose e qualificate, possono mettere in difficoltà una persona o una famiglia che fino a quel momento aveva goduto di una relativa tranquillità economica.

La mobilità sociale

L'articolazione della società in classi implica per gli individui la possibilità di passare da una classe sociale all'altra e quindi di mutare la propria posizione all'interno del sistema di stratificazione: tale fenomeno è definito dai sociologi mobilità sociale, 

Questa possibilità si può configurare sia come mobilità discendente (il mutamento verso il basso, che peggiora la condizione dell'individuo), sia come mobilità ascendente (il mutamento verso l'alto, che pone l'individuo in una posizione migliore). È principalmente alla mobilità ascendente che si riferisce l'analisi sociologica.

La mobilità ascendente è preclusa per principio nelle società divise in caste, come quella indiana, in cui la nascita “inchioda” le persone a una posizione sociale immutabile fino alla morte. Nel mondo occidentale, invece, la stratificazione coesiste con la possibilità, teoricamente illimitata, di avanzare all’interno della scala sociale, evento realizzabile nell'arco della vita individuale oppure nello spazio di più generazioni. Alcuni paesi fanno di questa possibilità un valore sociale di fondo e un elemento chiave della propria identità nazionale.

Ma esiste davvero nelle nostre società la possibilità di una mobilità sociale? 

Non è facile dare una risposta efficace a questa domanda. Innanzitutto, occorre distinguere tra mobilità assoluta, data dal numero complessivo di persone che si spostano da una posizione sociale a un'altra, e mobilità relativa, che consiste nel grado di uguaglianza delle possibilità di ciascuno di migliorare la propria posizione. Questo significa che una società ha un'alta mobilità relativa se la possibilità di spostarsi all'interno del sistema di stratificazione sociale è uguale per tutte le classi. Ed è proprio la mobilità relativa che dobbiamo prendere in considerazione se vogliamo valutare la capacità di “apertura” di una società: essa infatti potrebbe presentare un elevato tasso di mobilità, ma limitato a una particolare fascia della popolazione, ad esempio il mondo variegato e composito delle classi medie, senza coinvolgere gli strati più bassi. Può accadere, inoltre, che lo spostamento riguardi soltanto posizioni sociali contigue, rivelando invece percentuali modeste relative alla “mobilità a lungo raggio”.

Infine, in particolare per la mobilità tra le generazioni, occorre tenere presente che molti cambiamenti di posizione occupazionale derivano da trasformazioni più generali del sistema produttivo.

Alle origini della conflittualità sociale

 366-367


Un punto di partenza: Durkheim e il concetto di anomia

Parlare di conflittualità sociale, da un punto di vista sociologico, non significa semplicemente individuare quegli aspetti e problemi che, all'interno della società, creano una situazione di conflitto tra individui e gruppi o tra questi e la collettività nel suo complesso. Significa anche e soprattutto cogliere la natura eminentemente sociale di questi aspetti e problemi, individuare cioè nella società non solo un  luogo in cui il conflitto si manifesta, ma anche un complesso di fattori da cui esso si genera.

Emile Durkheim nel suo saggio “ Il suicidio. Studio della sociologia” e nell'opera “La divisione del lavoro  sociale” introduce nel linguaggio sociologico il termine "anomia", Indicando con esso quello stato di  carenza normativa che si crea in una società quando si indebolisce la coesione tra i suoi membri,  presupposto, necessario per la formazione di valori e sentimenti comuni. L’anomia priverebbe gli individui di quelle direttive in grado di mantenere la condotta entro limiti appropriati, e favorirebbe  la disgregazione morale della società e l'insorgere dei comportamenti pericolosi per sé e per gli altri. 

La concezione durkheimiana di “anomia” ci suggerisce che la causa profonda di questi eventi risiede nella società e non nelle persone: “anomici” non sono gli individui, con i loro comportamenti o i loro tratti di personalità, ma piuttosto i contesti sociali in cui si trovano a vivere. 

Da dove scaturisce l'anomia  stessa? 


Durkheim pensa che questa condizione di carenza normativa non sia strutturalmente connesso alla  vita sociale, ma che possa verificarsi in determinate congiunture storiche, caratterizzate da mutamenti particolarmente rapidi e radicali. Durkheim attribuisce alla Sociologia il compito di riaffermare la fondamentale coesione e unità organica del corpo sociale, contro ogni tendenza anomica. 

La stratificazione sociale

Il sociologo Peter Berger nel suo manuale “sociologia. La dimensione sociale della vita quotidiana" osserva l'esperienza sociale che si configura fin dai suoi inizi come un'esperienza di differenze: constatiamo che le persone sono diverse e non soltanto come individui, ma anche come rappresentanti di determinate categorie o gruppi sociali. A questa differenza corrisponde una diversa collocazione su un'ideale scala sociale, nel senso che alcuni gruppi o categorie sembrano disporre di opportunità e risorse che ad altri sono precluse o accessibili in misura minore. Questo fenomeno si chiama stratificazione sociale, ovvero la presenza, all’interno della società, di una molteplicità di livelli, che si differenziano per la possibilità di accesso alle risorse sociali di cui godono i membri di ciascun livello.

I classici di fronte alla stratificazione: Marx e Weber

E’ stato Marx a porre al centro del discorso sociologico l’analisi delle classi sociali e dei rapporti tra di esse. Dalla nozione marxiana di “classe” discende un’interpretazione della stratificazione sociale che presenta alcuni aspetti caratteristici.


Per Marx, il criterio fondamentale che determina la stratificazione sociale è di tipo economico: è il rapporto intrattenuto con la proprietà dei mezzi di produzione, che decreta la classe di appartenenza e non con altre caratteristiche, come il potere o il prestigio, che ne sono le conseguenze.

La nozione di stratificazione si lega a quella della conflittualità. Tra le classi sociali il rapporto è di conflitto perenne, poiché le loro reciproche posizioni sono generate dalla lotta per l'appropriazione delle risorse. Questa conflittualità è una costante nella storia dell’uomo, ma nella società industriale assume una nuova e originale configurazione, sia per la drastica riduzione delle forze in gioco, cioè la borghesia capitalista e il proletariato, sia per la novità dell’assetto sociale a cui dovrà approdare. La classe di appartenenza determina la posizione che un individuo ha all’interno della società, ma essa non genera necessariamente in quello stesso individuo una reale percezione della posizione che egli si trova a occupare. 

Marx chiama questa condizione “falsa coscienza”, condizione che minaccia i membri della classi subalterne: il monopolio delle idee, esercitato da chi detiene il potere, infatti, porta i membri delle classi subalterne a introiettare le idee e i valori socialmente dominanti, e in questo modo preclude loro la possibilità di prendere coscienza dello sfruttamento a cui sono soggetto. Anche Weber ha affrontato il tema della stratificazione sociale. La teoria weberiana, prende avvio dall’analisi di Marx, ma tenta di integrarla e superarla. 

Weber ritiene che il concetto marxiano di classe isoli solo un fattore della stratificazione sociale, quello economico, identificato con la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione, mentre il fenomeno è più complesso. Accanto alla classe Weber individua altri due fattori che determinano le differenze di livello tra i diversi gruppi sociali: lo status e il potere. Il primo può definirsi come il livello di prestigio sociale detenuto da un gruppo o da un individuo, che costituisce una variabile indipendente, benché spesso legata alla posizione di classe.


Verfifica pag 362

 1)

A-Vero

B-Falso

C-Vero

D-Falso

E-Vero

2)

a) Stateways

b) b- il complesso dei meccanismi su cui la società costringe gli individui ad attenersi alle norme socialmente accettate

c) b- la tendenza all'innovazione

3)

a) Istituzioni totali

b)Ruolo

c) Trasposizione delle mete

4)

a) Conflitto Intra Ruolo

b) Conflitto Inter Ruolo

5)

Il sociologo statunitense ha introdotto la funzione manifeste e funzioni latenti

Per esempio nella danza della pioggia

Manifesta: di suscitare la precipitazione    

Latente: di consolidare i legami all'interno del gruppo e rafforzarne l'identità sociale

6)

Secondo Foucault:

-Controllare e Sorvegliare=bisogna limitare il la libertà come punizione 

-Sorveglianza costante

Un caso embleatico le istituzioni penitenziarie



Le istituzioni penitenziarie

 

L'evoluzione delle istituzioni penitenziarie nella cultura occidentale, oltre a costituire uno degli aspetti più significativi e allo stesso tempo più inquietanti della nascita della modernità, rappresenta anche un'ottica privilegiata da cui cogliere i tratti tipici di ogni istituzione:

·         I criteri e sistemi con cui ogni comunità decide di sanzionare i comportamenti non conformi alle norme socialmente condivise costituiscono la manifestazione più visibile del controllo sociale.

·         La molteplicità degli scopi sociali di cui la collettività investe le istituzioni penitenziarie  permette di cogliere in esse un caso emblematico della  pluralità di funzioni, aspetti e significati che caratterizza ogni ambito istituzionale. 

·         Le istituzioni penitenziarie sono in modo emblematico, delle organizzazioni.

 

Dal supplizio alla sorveglianza

È probabile che il concetto di istituzione penitenziaria evochi immediatamente in ognuno di noi il pensiero del carcere con cui oggi si è soliti sanzionare chi ha commesso il reato. Fino alla seconda metà del Settecento, nelle società occidentali la prigione non era una vera e propria struttura di detenzione, ma il luogo in cui venivano temporaneamente ospitati gli imputati in attesa del giudizio. 

 

La forma paradigmatica delle punizioni, era il supplizio, nella varietà delle sue manifestazioni: I criminali venivano torturati, fustigati, sottoposti al pene corporali di ogni tipo spesso; questo rituale di sofferenza culminava nell' esecuzione pubblica, condotta al cospetto della folla con modalità piuttosto cruente. 

 

Come ha mostrato lo storico e filosofo francese Michael Foucault  nel saggio "sorvegliare e punire ",  la punizione costituiva una vera e propria dimostrazione di forza da parte del potere politico nei confronti di chi aveva violato la legge e di ogni potenziale trasgressore e ciò ne giustificava tanto la ferocia quanto il carattere spettacolare.

Perché nascesse il concetto moderno di prigione erano necessari un ripensamento del significato della pena,  non più intesa come semplice vendetta del potere nei confronti dei suoi oppositori, e dall'altro la diffusione a livello sociale di una nuova sensibilità, contraria all'uso di supplizi efferrati e cruenti e all'esibizione pubblica della Sofferenza.  è ciò che avviene nella cultura europea a partire dal XVIII secolo quando gli intellettuali illuministi,  invocarono la necessità di un diritto penale più razionale umanitario. Parallelamente a questo si affermò quel processo di affinamento dei costumi  e dei comportamenti che il sociale tedesco Norbert Elias definì Zivilisation  che da ceti socialmente più elevati si diffuse gradualmente a strati sempre più ampi di popolazione.


Fu negli Stati Uniti, per iniziativa dei quaccheri, che nella seconda metà del Settecento sorsero le prime carceri nel senso moderno del termine. Il loro nome, penitenziari houses, si spiega proprio considerando la finalità di tipo spirituale e religioso che ne ispirò la realizzazione: permettere al recluso l'espiazione delle proprie colpe attraverso l'isolamento e la pratica quotidiana del lavoro; lo stesso spazio fisico in cui era rinchiuso il detenuto era pensato secondo il modello di ispirazione religiosa della cella monastica.

 Walnut Street, inaugurata in Pennsylvania nel 1784, fu la prima struttura di questo tipo. Ispirato a simili principi, ma con alcune modifiche di carattere organizzativo fu il carcere di Auburn che nacque nello stato di New York nel 1818. Nel corso del XIX secolo i modelli carceri statunitensi si diffusero rapidamente in tutta l'Europa.

Secondo Foucault, con la nascita delle prigioni moderne si assiste a una nuova modalità di punizione, quella della tecnologia disciplinare, il cui scopo non è più  martoriare il corpo del detenuto, ma controllarlo e sorvegliarlo attraverso la definizione rigorosa degli spazi e dei tempi, dell'attività che lo riguardano. A tale intento viene finalizzata la stessa struttura architettonica del carcere, che deve garantire la sorveglianza costante del detenuto, ma al tempo stesso impedirle di conoscere il momento effettivo in cui viene osservato dai sorveglianti, favorendo così l'interiorizzazione della punizione. L'istanza di disciplina di controllo che presiede al sorgere delle carceri si afferma, secondo Focault, anche in altre istituzioni segregative, che nascono parallelamente in seno alla società occidentale: ospedali, manicomi, scuole e caserme. La medesima istanza presiederebbe, secondo l'autore, persino alla nascita della Scienza umane, che sorgono nello stesso periodo con l'intento di studiare il comportamento degli individui e di controllare i meccanismi che lo determinano.


La funzione sociale der carciere

  

Perché si mettono le persone in prigione?
Da un lato, la gente imputa alle autorità giudiziarie un uso limitato o eccessivamente indulgente delle pene detentive, dall'altro manifesta scarsa fiducia nel utilità sociale del carcere e nella sua capacità di arrecare benefici a chi vi è recluso. Anche le critiche all'organizzazione carcere non sono univoche: c'è chi lamenta il sovraffollamento delle prigioni e il degrado delle condizioni di vita dei detenuti, e chi all'opposto, ritiene che il regime carcerario sia troppo mie per coloro che devono scontare una condanna.

La definizione della funzione sociale del carcere rimanda, in realtà due questioni chiavi: 

·         Lo scopo della pena

·         la definizione di criminale. 

 

Per quanto riguarda lo scopo della pena è necessario richiamare alcune delle principali teorie che storicamente sono state adottate in merito: 


• le teorie a retributive, sono quelle concezioni che vedono nella pena la giusta retribuzione del danno causato dal Reo con il suo gesto, proporzionale per entità alla gravità dell'infrazione commessa. 

•  le teorie utilitaristiche, che considerano la pena giustificabile dal punto di vista della sua finalità sociale che può essere definita in diversi modi: 

1. come forma neutralizzazione del Reo e del pericolo che esse rappresenta; 

2. come dispositivo di prevenzione dei reati; 

3. come strumento di rieducazione e di recupero sociale dell'individuo.


Lo scopo della pena è quello di impedire al Reo di fare nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere agli altri da farne degli uguali. 

La lettura in chiave "riabilitativa" dell'istituzione carceraria sembra la più plausibile sotto il profilo razionale umanitario; tuttavia essa si scontra con una serie di problemi e ambiguità di fondo. 

Da un punto di vista empirico, è fin troppo facile contestare l'idea che la prigione possa rieducare i soggetti condannati, l'altra percentuale di recidive riscontrabili tra i detenuti e in genere le difficoltà di reinserimento sociale delle persone uscite dal carcere sembrerebbero attestare la debolezza di questa convinzione. 

Inoltre accentuare l'idea della carcerazione come riabilitazione rischia di assimilare lo status di detenuto a quello di un malato portatore di una qualche patologia personale o sociale che è necessario correggere aprendo così la strada a pericolose derive verso la manipolazione e il controllo degli individui reclusi.

Oggi i moderni trattamenti carcerari sottolineano la necessità del coinvolgimento attivo e responsabile del detenuto nel suo programma di rieducazione: gli stessi benefici premiali; istituiti da molti ordinamenti penitenziari, sono subordinati alla condotta del detenuto e alla sua disponibilità ad accettare il percorso rieducativo che lo riguarda.


Ma possiamo anche chiederci se e in che modo sia applicabile alle istituzioni carcerarie la distinzione di merton tra funzioni latenti e funzioni manifeste e delle istituzioni. Una possibile risposta a questo interrogativo è stata formulata da Emile Durkheim, in " la divisione del Lavoro sociale ". Lo studioso francese, dopo avere identificato nella rottura del legame sociale l'elemento costitutivo di ogni comportamento criminale, coglie nella sanzione inflitta al reo  una sorta di rituale collettivo in grado di ripristinare simbolicamente questo legame.  lo scopo più profondo della sanzione non sarebbe quindi quello di punire i trasgressori, ma piuttosto di rafforzare i vincoli sociali , riaffermando il valore delle norme condivise e dei comportamenti individuali a essa conformi. 

Potremmo allora pensare che l'istituto del carcere, Al di là delle finalità esplicite che si propone Nei riguardi dei soggetti condannati e della misura in cui riesce a conseguirle, sia anche un mezzo per ribadire la condanna sociale dei comportamenti criminali e per dare a questi stessi  comportamenti una visibilità che li renda Chiaramente definibili. in questo modo il carcere contribuirebbe a costruire la categoria sociale delle devianze e a distinguere tra ciò che è lecito e ciò che invece è inaccettabile in un determinato contesto sociale.

  

La Burocrazia: il tratto comune delle organizzazioni

 Che cosa è la burocrazia?

La burocrazia non indica semplicemente il complesso degli enti pubblici e dei loro uffici, essa designa un preciso modello di struttura comune, sia alle organizzazioni pubbliche sia a quelle private. Fu Max Weber, il primo a mettere in luce i tratti distintivi e gli effetti dirompenti sul piano della vita sociale, collegandone la Genesi al processo di realizzazione della società occidentale.

 

Le caratteristiche della burocrazia

1.       La natura burocratica delle organizzazioni sta nel fatto che in esse opera un personale, provvisto di una determinata professionalità, che viene stipendiato dall'organizzazione stessa e non dagli utenti che usufruiscono delle sue prestazioni. Inoltre la remunerazione è in funzione dell'incarico ricoperto non degli esiti a cui essa approda.

2.       In secondo luogo, ogni settore della burocrazia ha giurisdizione e compete
nze su un ambito particolare e solo su quello.

3.       In un'organizzazione strutturata secondo il modello burocratico, abbiamo Inoltre una stabile e rigida divisione dei compiti.

4.       Infine, le organizzazioni presentano una precisa struttura gerarchica; ogni individuo si colloca in un organigramma, cioè occupa una determinata posizione e può avere persone che dipendono da lui, a cui dare ordini e superiori a cui deve obbedire. Tra i diversi uffici e funzionari, le comunicazioni sono di tipo impersonale, solitamente scritte in modo da essere catalogate e archiviate. Il principio dell'impersonalità fonda anche quello che possiamo chiamare l'ethos burocratico, ossia l'insieme delle norme che guidano il comportamento dell' organizzazione e dei suoi funzionari nei confronti dell'utenza. Il rispetto rigoroso delle procedure necessarie per il buon funzionamento e l'organizzazione, esige Infatti il completo annullamento di ogni componente soggettiva, ossia di Ogni esigenza, motivazione ,valutazione, interazione tra il burocratese e la persona che mi richiede i servizi.

MERTON: LE DISFUNZIONI DELLA BUROCRAZIA

  • Secondo Weber, la burocratizzazione della vita sociale costituiva un processo inevitabile e irreversibile. Se da una parte lui vedeva una preoccupazione l'avvento di un mondo ridotto a un meccanismo di piccoli denti di ingranaggio, Come ebbe a definirlo, dall'altra però era persuaso che soltanto il modello burocratico fosse in grado di affrontare, con efficienza e professionalità, leesigenze di sistemi sociali sempre più complessi.
  • Dopo Weber, diversi autori hanno invece sottolineato come la struttura della burocrazia finisca per produrre le conseguenze che si scontrano con le intenzioni iniziali e che condannano l'agire del burocrate all'improduttività.  In particolare, Merton analizza le conseguenze sociali dell'agire burocratico. secondo lo studioso, il modello di organizzazione burocratica conduce inevitabilmente a una trasposizione delle mete in virtù della quale i mezzi che la burocrazia Che dispone per realizzare i propri scopi finiscono per sovrapporsi agli scopi stessi e per sostituirsi a essi. In sostanza, il rispetto rigoroso delle procedure originariamente richiesto al burocrate per garantire l'efficienza e l'imparzialità del servizio diventa spesso la preoccupazione più impellente del suo agire finendo in tal modo per intralciare il suo stesso lavoro e distoglierlo dagli scopi originari.
  • Un ulteriore disfunzione della burocrazia è data dal comportamento del burocrate che ,vincolato al miticoloso rispetto delle norme e delle procedure, manca della flessibilità necessaria per adattarsi al mutamento sociale ed è incapace di fronteggiare le situazioni inattese o non previste dai regolamenti con esiti talora grotteschi. Tal proposito si può parlare di personalità burocratica per indicare questo atteggiamento che diventa un vero e proprio habitus mentale acquisito dal burocrate nello svolgimento delle sue mansioni. La personalità e burocratica coinvolge anche utenti, che finisce per pensarsi secondo l'ottica anonima e rigidamente regolamentata delle procedure qui è soggetto, come un numero, un fascicolo, una scheda Tra le tante e per sviluppare un senso di frustrazione di sfiducia nelle possibilità della società di venire incontro alle sue esigenze.

 

Quando le istituzioni si fanno concrete: le organizzazioni sociali

 

Le strutture in cui ci muoviamo

Pur essendo l'istituzione una realtà simbolica, essa tende a oggettivarsi in realtà concrete e visibili: persone, cose, luoghi. Questo può venire in modi diversi. Il caso più semplice è quello in cui l'istituzione si oggettiva in una singola persona, che le norme sociali designano come figura obbligata di riferimento in determinate situazioni. All'opposto troviamo un caso in cui il contenuto normativo di un'istituzione, con il complesso di status e ruoli che definisce, si oggettiva in strutture di ampie dimensioni che coinvolgono una grande quantità di risorse umane e materiali allo scopo di perseguire in modo razionale e coordinato determinati fini collettivi. A questa struttura, la sociologia da il nome di organizzazioni, ne sono un esempio: la scuola, l'ospedale, un carcere, un ufficio della pubblica amministrazione, ma anche un'impresa industriale,  un sindaco e una società sportiva.

Quando le organizzazioni non c’erano

Le organizzazioni sono realtà tipiche della civiltà industriale. Nelle piccole comunità caratteristiche della società rurale, alla soddisfazione dei bisogni sopperiva spesso la sola iniziativa individuale, benché supportata, dove necessari,o da l'aiuto reciproco tra le persone e da reti informali di soli di solidarietà.

La descrizione della peste del 600 nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni ci dà un esempio significativo di questo fenomeno: "Il Lazzaretto" per i malati di peste in cui si parla nell'opera non era certo un ospedale nel senso moderno del termine con personale attrezzato per assistere i degenti ma un luogo dove venivano confinanti malati e moribondi, affidati alla carità dei Frati Cappuccini e di altre persone di buona volontà. Per la maggior parte della gente peraltro, l'esperienza dell'infermità e della morte veniva vissuta tra le mura della propria casa, con l'assistenza dei familiari parenti e persone del vicinato. Oggi invece all'ospedale in quanto organizzazione, ad accogliere l'individuo nei momenti critici del suo stato di salute.

 

Le caratteristiche delle organizzazione

Le organizzazioni hanno dei tratti comuni:

  • Acquisiscono risorse dell'ambiente ed erogano servizi
  • Selezionano e formano i propri memb
    ri, preoccupandosi di controllarne e  ordinarne i contributi
  • Cercano di ottenere il contributo dei propri componenti attraverso incentivi (materiali o simbolici)
  • Gestiscono i rapporti con organizzazioni analoghe o antagoniste
  • Si fondano su una struttura di tipo burocratico

Domande 2

 Che cosa intendono i sociologi con il termine "organizzazione"?
In sociologia, insiemi di persone che perseguono determinati obiettivi sociali,utilizzando appositi metodi e strumenti e dividendosi in modo stabiliti attività e competenze.

Un esempio è l'istituzione scolastica che si concretizza nelle molteplicità delle figure sociali che coinvolge e nelle risorse materiali che ne rendono possibile il funzionamento attraverso le queli cerca di conseguire i propri scopi.

Quali sono i caratteri essenziali di un organizzazione?

 ■ acquisiscono risorse dall'ambiente (risorse umane e materiali) ed erogano servizi: un'industria utilizza determinate materie prime e il lavoro dei propri dipendenti per produrre beni di consumo; un partito politico si serve dei propri iscritti e di mezzi tecnologici (organi di stampa, pubblicazioni ecc.) per pubblicizzare le proprie idee e proposte; 

■ selezionano e formano i propri membri, preoccupandosi di controllame e coor-dinarne i contributi: un'azienda assume i suoi dipendenti e li prepara per le future mansioni; una società sportiva sceglie i propri tecnici e dirigenti assegnando a ciascu-no compiti specifici; 

■ cercano di ottenere il contributo dei propri componenti attraverso incentivi mate-riali o simbolici: il dipendente di un'azienda è incentivato a collaborare da compensi economici (stipendi, premi di produzione ecc.) e avanzamenti di carriera; un'associa-zione religiosa o di volontariato cerca di coinvolgere i suoi membri facendo appello a finalità e progetti condivisi;

 ■ gestiscono i rapporti con organizzazioni analoghe o antagoniste: un'impresa si confronta necessariamente con le aziende concorrenti; un partito o un sindacato si trovano a dialogare e talora a scontrarsi con altri partiti o sindacati, espressioni di posizioni differenti; 

■ si fondano su una struttura di tipo burocratico. Quest'ultimo aspetto necessita di qualche spiegazione più approfondita. Vediamo quindi in dettaglio di che cosa si tratta. 


Quali caratterisitiche ha la burocrazia?

-personale stipendiato dall'organizzazione stessa

-remunerazione è in funzione dell'incarico ricoperto (il medico viene pagato indipendente se il paziente guarisce o meno)

-giurisdizione e competenze su un ambito particolare e solo su quello.

-stabile e rigida divisione dei compiti

-precisa struttura gerarchica

-"Il principio dell'impersonalità forma /ethos burocratica", ossia l'insieme delle norme che guidano il comportamento dell'organizzazione,esige infatti il completoo annullamento di ogni competente soggettiva.

Che cosa si intende con l'espressione "trasposizione delle mete"?

Secondo Merton, fenomeno tipico delle organizzazioni burocratiche in virtù del qual i mezzi che la burocrazia predispone per realizzare i propri scopi finiscono per sovrapporsi agli scopi stessi  per sostituirsi a essi


 

Un mondo di istituzioni 

la vita che viviamo quotidianamente Si snoda attraverso una molteplicità di regole e modelli tra loro coordinati, tieni guidano lo svolgimento fin nei minimi dettagli, e di cui prendiamo coscienza solo da quando Tentiamo, con uno sforzo dell'immaginazione, di considerarli così come farebbe un estraneo che le osservasse per la prima volta.

i sociologi chiamano istituzioni questi modelli regolatori generali, che guidano il comportamento degli individui e gli conferiscono un significato possibile.

 

Il concetto di istituzione

 il significato sociologico del termine istituzione significa un insieme di norme tra loro coordinate, radicate nell'esperienza quotidiana degli individui da questi percepite come capaci di regolare un certo ambito di vita e di azione in un determinato contesto storico e geografico.

 per il sociologo sono istituzioni il matrimonio, la famiglia, la religione, lo sport, il sistema scolastico, il sistema giudiziario, ma anche entità più impalpabili come il linguaggio O la scienza. E anche quando ci sembra che un'istituzione si identifichi con qualcosa di visibile e di concreto dobbiamo ricordare che si tratta in realtà di una entità simbolica, Nel senso che non si identifica con le risorse materiali e umane di cui pure necessità per concretizzarsi.

 

Le istituzioni come insieme di norme sociali 

ogni istituzione definisce un insieme di norme sociali, cioè di regole, scritte e non, che prescrivono come le persone devono comportarsi in determinate situazioni della vita sociale.

secondo la classificazione del sociologo statunitense William Sumner,  le norme sociali possono essere classificate in tre tipi principali:

gli stateways, le norme giuridiche,  cioè quelle norme emanate dallo Stato ovvero leggi e regolamenti scritti, il cui rispetto è obbligatorio per tutti i membri della società;

i moresi, i costumi, ovvero quelle norme per lo più tramandate oralmente, ma a cui la collettività riconosce un forte spessore in termini di valore e di legittimità;

i folkways, cioè quelle usanze e consuetudini praticate all'interno di una società, anche se tramandate oralmente, ma prive di quel riferimento alla moralità che caratterizza i mores.

Ogni istituzione presuppone il riferimento a ciascuno di questi tre tipi di norme.

 

Le istituzioni come strumenti di controllo sociale

 ogni istituzione non si limita a definire le regole a cui devono attenersi gli individui, ma mette anche in atto una serie di espedienti per indurre la persona a rispettarle; l’istituzione esercita un’opera di controllo sociale.

Gli strumenti di questo controllo possono essere esteriori o interiori:

- sono esteriori le sanzioni esplicitamente inflitte alle condotte non conformi;

- sono interiori i meccanismi con cui si cerca di promuovere nelle persone l’interiorizzazione delle norme,  ovvero il riconoscimento della loro bontà ed efficacia e la conseguente scelta autonoma di farle proprie. 

 

L'intensità del controllo sociale può variare da istituzione a istituzione:  è massima nelle cosiddette istituzioni totali,  chiamate così dal sociologo canadese Erving Goffman.  egli comprende quei sistemi di norme che fanno a capo tutte le strutture sociali, nelle quali persone tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo si trovano a condividere una situazione comune. Questi istituzioni sono totali perché si impadroniscono interamente del tempo e delle diverse dimensioni esistenziali delle persone che vi risiedono, unificando in uno stesso luogo e sotto un'unica autorità tutte le attività quotidiane.  individuo prigioniero dell'istituzione ero totale è precluso ciò che è consentito alle persone che vivono una vita normale:  dormire, lavorare, divertirsi in luoghi diversi e seguendo schemi di comportamenti diversi.  il il fagocitamento  e spesso un’identità impoverita e degradata, una vita sociale ridotta all’umiliante rapporto con lo staff dell’istituzione, da cui l’internato cerca di difendersi escogitando tecniche di sopravvivenza e cercando disperatamente di ritagliari piccoli spazi personali. 

 

Le istituzioni come rete di status e di ruoli 

All’interno dell’istituzione le persone occupano posizioni diverse e svolgono compiti differenti. A ognuno di queste posizioni sono associati compiti diversi, a cui corrispondono precise aspettative sociali. 

 

I sociologi chiamano status ciascuna di queste posizioni ricoperte da un individuo all’interno, e ruolo il complesso delle azioni che ci aspetta da un individuo in virtù del suo status.

Poichè nella società le istituzioni sono molte, in relazion
e alla pluralità degli ambienti di vita, l’individuo è in rapporto con ciascuna di esse, ne consegue che ogni persona assume su di sè una pluralità di status. Alcuni vengono detti status ascritti: sono quelli legati a condizioni indipendenti dalla volontà e dall’impegno dell’individuo; altri vengono chiamati status acquisiti: sono quelli che si raggiungono studiando e maturando una specifica professionalità.

 

Spesso lo status è “correlativo”, nel senso che si definisce in rapporto a un’altra posizione sociale a esso complementare. Anche i ruoli che ne discendono sono complementari. 

Nella società ogni individuo si trova a interpretare molti ruoli, perchè detiene più status e perchè da ogni status discende una pluralità di compiti e di relative aspettative. 

La pluralità di ruoli che una persona si trova a interpretare può spesso esporla a situazioni di conflittualità. Si parla di conflitto inter-ruolo, cioè di conflitto tra due o più ruoli diversi spettanti alla stessa persona. 

 

Può anche capitare che una persona sia in difficoltà nell’interpretazione di un singolo ruolo, sia per l’ambiguità connessa al ruolo stesso, sia per il contrasto tra la sua sensibilità o personalità e gli obblighi istituzionali. In questo caso si parla di conflitto intra-ruolo, cioè all’interno al ruolo spesso. 

 

La storicità delle istituzioni

Le norme che le istituzioni impongono alla condotta degli individui, seppur rigide, sono soggette a mutamento storico. 

Il mutamento delle istituzioni può prodursi in forme differenti.

·         con il crescere della complessità sociale, si verificano un aumento delle istituzioni esistenti e una crescente “specializzazione” di ognuna di esse. Oggi la famiglia in quanto “istituzione” ha registrato una “specializzazione” crescente, tanto che oggi si tende a sottolinearne prevalentemente la funzione creativa e procreativa

·         può accadere, però, anche il fenomeno opposto, cioè che il mutamento sociale investa un’istituzione di compiti che non aveva in precedenza, moltiplicandone le funzioni. 



Esiste una divisione tra funzioni manifeste e funzioni latenti in un’istituzione, introdotta dal sociologo statunitense Robert Merton. Le finalità sociali di un’istituzione non si sovrappongano esattamente agli scopi espressamente dichiarati della sua esistenza. 

Le trasformazioni di un’istituzione investono soprattutto i suoi aspetti latenti, e meno quelli manifesti, nel senso che, sotto un medesimo “guscio” esteriore, l’istituzione può adempiere a nuovi e insospettati compiti, o viceversa, nel senso che nel contesto sociale mutato svuota di significato le funzioni latenti che l’istituzione in precedenza svolgeva.

 

Domande


 Che cos'è un istituzione e quali caratteristiche presenta?

I sociologi chiamano istituzioni i modelli regolatori generali, che guidano il comportamento degli individui e gli conferiscono un significato possibile.

Che cosa sono le norme sociali e come le ha classificate sumner?

ogni istituzione definisce un insieme di norme sociali, cioè di regole, scritte e non, che prescrivono come le persone devono comportarsi in determinate situazioni della vita sociale.

secondo la classificazione del sociologo statunitense William Sumner,  le norme sociali possono essere classificate in tre tipi principali:

gli stateways, le norme giuridiche,  cioè quelle norme emanate dallo Stato ovvero leggi e regolamenti scritti, il cui rispetto è obbligatorio per tutti i membri della società;

i modi, i costumi, ovvero quelle norme per lo più tramandate oralmente, ma a cui la collettività riconosce un forte spessore in termini di valore e di legittimità;

i folkways, cioè quelle usanze e consuetudini praticate all'interno di una società, anche se tramandate oralmente, ma prive di quel riferimento alla moralità che caratterizza i mores.

Che cosa si intende per "controllo sociale"?

per controllo sociale si intende il complesso dei meccanismi, esteriori e interiori, che la società mette in atto per costringere le persone ad attenersi alle norme socialmente costituite. 

Perché un individuo ha di norma più status e più ruoli?

Nella società ogni individuo si trova a interpretare molti ruoli, perchè detiene più status e perchè da ogni status discende una pluralità di compiti e di relative aspettative. 

La pluralità di ruoli che una persona si trova a interpretare può spesso esporla a situazioni di conflittualità. Si parla di conflitto inter-ruolo, cioè di conflitto tra due o più ruoli diversi spettanti alla stessa persona.